Gabriele D'Annunzio:
Città e rovina decadentista
Abstract
Gabriele D’Annunzio è stato uno dei migliori contributi della letteratura italiana e, visto la sua fortunata produzione, è possibile affermare che l’autore ha influenzato permanentemente un’intera generazione di artiste. Il suo stupore con la città di Roma si manifesta in numerose opere, romantiche e poetiche, tra cui la più celebre della sua carriera, Il Piacere (1889), che funzione come un’Ode al fascino dell’antico Impero. D’Annunzio però non si dedicherebbe soltanto a cantare la bellezza di Roma: in diversi scritti il suo amore per la città si trasforma in indignazione e denuncia di fronte all'imminente rovina che i processi di urbanizzazione porterebbero. Per questo articolo, interessano gli scritti sulla distruzione di Vila Ludovisia, una città signorile dotata di numerosi giardini e palazzi, che, nonostante siano stati lodati da autori come Goethe e Stendhal, sono stati suddivisi e demoliti. In D’Annunzio la rovina della città si manifesta più ampiamente nei romanzi Giovanni Episcopo (1891), Le vergini delle rocce (1896) e in numerose cronache giornalistiche; è attraverso queste tracce che intendo dimostrare come l'artista decadente si abbia manifestato di fronte alla minaccia di annientamento causata dalla grande febbre delle costruzioni che ha segnato il passaggio dal XIX al XX secolo.